martedì 6 maggio 2014

Child of Light, o del difficile equilibrio di un'operetta estetica

Supportato da un controllatissimo battage pubblicitario e dal sempre felice tocco di Yoshitaka Amano (autore dello splendido poster incluso nell'edizione deluxe), fin dalla comparsa dei primi video promozionali questo Child of Light non ha mai voluto nascondere quale fosse il proprio obiettivo: quello di voler essere, primariamente, una sorta di operetta estetica.

"Estetica", nella misura in cui questo gioco fonda il 99% della propria efficacia sulla mera forma: l'art direction, la grafica, l'aspetto esteriore... insomma, tutto ciò che al 99% dei casi riesce a determinare il successo di un videogioco moderno presso il pubblico generalista, e che al 99% dei casi la sedicente 'critica specializzata' accantona quasi con disprezzo, alla ricerca spasmodica di un contenuto. E qui sta la vera, a suo modo geniale trovata del gioco: di contenuto, in Child of Light, non se ne vede nemmeno l'ombra.
Più nello specifico, in Child of Light tutti gli elementi che in qualsiasi altro videogioco concorrerebbero a definirne il contenuto (trama, caratterizzazione dei personaggi, gameplay etc.) sono totalmente asserviti alla forma, e non vogliono - né, tantomeno, potrebbero - sussistere al di fuori di essa. Se gli sviluppatori Ubisoft non avessero saputo dotare la propria creatura di quella smagliante apparenza che sta affascinando critica e pubblico, il gioco non sarebbe potuto sopravvivere in nessun'altra veste.

La forma scelta da Child of Light è quella della fiaba europea. I modelli estetici assunti come fonte di ispirazione risiedono pertanto nella tradizione dei libri illustrati anglosassoni, specie quelli pubblicati a cavallo tra Ottocento e Novecento. In ogni angolo del suggestivo mondo di gioco si avverte l'eco dei lavori di Maxfield Parrish, Arthur Rackham, Beatrix Potter, Jill Barklem - queste ultime due, a dire il vero, 'citate' quasi ai limiti del plagio. 
Accanto a questa corrente squisitamente occidentale va considerata un altrettanto massiccia componente giapponese: una componente che non si limita soltanto – come si legge da più parti - al sistema di combattimento a turni in stile JRPG, ma si estende diffusamente anche al comparto grafico. Un semplice confronto tra la produzione del sommo Yasuhiro Nakura e il quadro del villaggio dei Capilli basterà a convincere chiunque.

La trama obbedisce naturalmente alla formula della fiaba tradizionale, operando su personaggi dalla mente semplice e unidirezionale. La protagonista Aurora affronta l'intera esperienza animata da princìpi che appaiono sempre perfettamente limpidi e trasparenti agli occhi del giocatore. Lo stesso vale per i molti amici che la accompagnano: c'è che vuole ritrovare un fratello, chi desidera far colpo su una bella ragazza, chi deve riscattare il proprio orgoglio ferito. Tutto qui? Sì, ed è sufficiente, perché una fiaba, per funzionare, deve alimentarsi di valori assoluti, di contrasti manichei, deve necessariamente essere libera da approfondimenti, ambiguità o pastoie psicologiche. Coloro che lamentano l'inconsistenza dei personaggi di Child of Light, dovrebbero riflettere sul fatto che qualsiasi elemento appena più complesso avrebbe rischiato di compromettere in modo irrecuperabile il risultato finale.
Il gameplay è una miscela di features pescate da generi diversi, e rimescolati con il solo scopo di farsi notare singolarmente il meno possibile, per non interrompere in alcun modo l'andamento diegetico della fiaba. Non stupisce, pertanto, che la componente esplorativa platform conceda quasi subito al giocatore il dono del volo, eliminando così del tutto il problema della gravità: un elemento, quest'ultimo, che non soltanto avrebbe intralciato la visione delle mirabili profondità aeree disegnate negli sfondi, ma avrebbe rallentato eccessivamente il moto della protagonista - moto che in un gioco come questo è palese metafora videoludica della narrazione.
Non stupisce, allo stesso modo, che le componenti più tipicamente GDR siano semplificate al massimo, fino al limite della stolidità, oltre la quale non sarebbe stato possibile andare: come un bambino che forma nella sua testa l'immagine mentale preferita per raffigurare la principessa della fiaba, così il giocatore deve poter avere l'impressione di personalizzare Aurora e i suoi compagni come preferisce, senza però mai rischiare di trasformare accidentalmente la principessa in una strega. Altrettanto funzionale il sistema di combattimento a turni, accuratamente studiato nel dettaglio per supportare scontri mai troppo lunghi né troppo difficili: la principessa delle fiabe, per definirsi tale, deve avere sempre la certezza – si direbbe quasi il diritto – di sopravvivere e di raggiungere il proprio obiettivo.
Tutto il meccanismo, insomma, lavora come gli ingranaggi di un perfetto orologio, lubrificato per di più da un'evocativa e ben orchestrata colonna sonora.

Sia chiaro: siamo lontanissimi – abissalmente lontanissimi – dalla sincerità profonda, viscerale e straziante di un'altra fiaba dei nostri tempi, quel Brothers. Tales of two sons la cui grandezza non viene mai abbastanza celebrata dalla critica videoludica. Child of Light, al contrario, è un'opera totalmente vacua e inautentica, fasulla come una zia invidiosa, creata a tavolino con l'obiettivo di raccogliere consensi presso il sedicente pubblico 'colto': lo stesso che negli ultimi anni si è lasciato irretire incondizionatamente dall'aura di 'artisticità' e di 'autorialità' di cui il sovraffollato mercato degli indie-games si è fatto portavoce.
Proprio per il suo voler subordinare ogni contenuto a una forma predeterminata, a un principio linguistico, il titolo Ubisoft resta un'operazione autoreferenziale, artificiosa e compiaciuta, un'elegante conversazione tra vecchie signore un po' stronze, di quelle che comprano case di bambole, cavallucci a dondolo e lussuosi libri illustrati da sfoggiare sui mobili d'epoca del salotto. E' un costoso e superfluo giocattolo di porcellana, un prodotto creato da adulti per gli adulti: uno splendido surrogato di infanzia, che dell'infanzia seleziona esclusivamente gli aspetti poetici e romantici, annacquando ogni problematicità in un ricordo liquoroso e consolante. Laddove Brothers era giovinezza, Child of Light è la memoria nostalgica della giovinezza. Laddove Brothers era carne e sangue, Child of Light è pergamena muffita e acquerello.

Child of Light resta ben distante dallo status di capolavoro. Un capolavoro definisce con chiarezza i propri obiettivi, e li supporta con proprietà e coerenza di strumenti. Il titolo Ubisoft ha fin troppo chiari i suoi obiettivi, ma finisce per inciampare maldestramente nell'attimo in cui qualcosa sfugge al mirabile equilibrio estetico che è, a ben vedere, il suo unico vero strumento. A volte il gioco vuole andare troppo in profondità, e rischia di incrinarsi: era davvero necessaria, per esempio, quella cornice 'terrestre' che tenta di riportare la vicenda di Aurora in una dimensione storica e quotidiana? A volte, invece, si rimane troppo in superficie, finendo per disattendere l'aspettativa del fruitore del racconto: succede in particolare con il personaggio di Igniculus, la lucciola compagna di Aurora, che per tutto il gioco rimane una mera funzione di gameplay priva anche di quella personalità basilare che sarebbe stata necessaria per concedergli il diritto di cittadinanza nella fiaba.

Child of Light costituisce un'esperienza di sicuro fascino solo a patto che si voglia rinunciare, a ogni pretesa di contenuto, e si accetti di lasciarsi semplicemente trasportare dalle note di un sofisticato minuetto. E' una deliziosa, stupida bambola da collezione, che va maneggiata con cura e ammirata da lontano. Al massimo le si possono pettinare i capelli per qualche minuto. 
Poi la si rinchiude in vetrina e si esce a comprare il latte, respirando aria vera.

1 commento:

  1. Ottima recensione, molto approfondita. Grazie per averla scritta. Ora ho un'idea più chiara su Child of Light e su cos'è realmente.

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